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Decluttering digitale: scegliere non significa perdere

Fare fotografie è una cosa che mi è sempre piaciuta, anche se recentemente ho scoperto che a volte è meglio semplicemente osservare invece di fotografare.

Tra l’avvento del digitale e il fatto che, anche con il telefono di più bassa categoria, possiamo immortalare frammenti di vita in ogni momento, sono riuscita ad accumulare dal 2005 ad oggi una quantità imbarazzante di foto: 45.368 per la precisione! Si, hai letto bene, e sono certa che se conti anche le tue il numero non sarà molto diverso.

Il decluttering digitale

Quando si parla di decluttering la prima cosa che salta in mente è: devo riordinare l’armadio, devo sistemare la cucina, devo organizzare meglio la mia postazione di lavoro… Raramente ci rendiamo conto che anche il nostro spazio digitale è clutterato. Perché? Perché lo spazio digitale non occupa uno spazio fisico, non lo vediamo tutti i giorni, non ci dà fastidio in casa, ma inconsciamente disturba la nostra testa. Le mie oltre 45.000 foto hanno intasato senza un criterio il mio telefono e il mio pc per anni; rimandavo sempre il momento di organizzarle, e la paura di perderne qualcuna mi ha fatto fare un sacco di copie inutili di telefono in telefono e di computer in computer. Il risultato? A dicembre, quando ho deciso finalmente di affrontare il problema, il numero di foto era ancora più alto perché c’erano anche i doppioni. Non ti dico lo sconforto! Dopo 10 minuti ho pensato “ma che cavolo mi è venuto in mente? Non ci riuscirò mai!”

Scegliere di non perdere

Ho copiato tutte le foto sul computer e ho visto in una specie di (brutto) collage i miei 13 anni di vita… Che paura! Guardando le foto da pc, e sapendo di averle tutte lì, mi sono resa conto che io non avevo paura di perdere le foto, ma avevo paura di scegliere quali momenti della mia vita conservare e quali lasciare andare. Io non soffro del blocco dello scrittore, né di quello della pagina bianca, ma soffro del “blocco della cancellazione di foto”. Eliminare le immagini dal telefono voleva dire negare l’esistenza di quel momento, come se non fosse mai stato vissuto. Pensandoci in maniera razionale, ma soprattutto cambiando la prospettiva di visione, ho capito che cancellare una foto non significava negare l’esistenza di quel momento. Non so se capita anche a te, ma quando vedo le immagini sul telefono sembrano tutte meravigliose, quando le vedo a monitor, belle grandi e in tutti i loro dettagli (parliamoci chiaro, la maggior parte delle foto sono abbastanza inutili) diventa più facile eliminarle.

Recentemente ho letto il libro “Solo bagaglio a mano” di Gabriele Romagnoli e ho trovato questa frase che mi sembra calzare a pennello:

[…]Perdere è avere un’occasione. Invece si ha paura di perdere e/o di perdersi. A tutte le latitudini “smarrire”, “smarrirsi” sono verbi vietati. Siamo circondati da indicazioni, cartelli stradali, navigatori satellitari, mappe sul cellulare. Poi un giorno ho incontrato Tony Wheeler, ideatore delle Lonely Planet, le guide di viaggi più diffuse nel mondo, e gli ho sentito dire: “Il più delle volte ho trovato quel che cercavo quando mi sono perso”.

Non rimandare a domani una scelta che puoi fare oggi

È proprio così, perdere (ovvero scegliere) molto spesso significa trovare (ovvero prendere consapevolezza)! Dopo aver scelto “solo” 25.377 foto da tenere mi sembra di averle ritrovate perché, ora che sono tutte organizzate e catalogate le posso utilizzare al meglio. Dopo aver finito questo immane e odiosissimi lavoro (no, giuro che non è stato divertente ma andava fatto!) mi sono chiesta per quale motivo ho aspettato così tanto per farlo; per quale astruso motivo ho aspettato di avere 13 anni di arretrati quando potevo farlo, con meno stress, un pezzettino alla volta? La risposta me l’ha data di nuovo Romagnoni con il suo libro:

“Un trasloco è il peggior trauma dopo un lutto”, “Ti fa scoprire quante cose inutili avevi”, “È l’occasione per liberarsi di quello che non si usa più”. Sintetizzando: il trasloco è un trauma liberatorio. Ora, qui sorge un dubbio: ma perché per liberarci abbiamo bisogno di sperimentare un trauma? Il trauma viene spesso evocato come causa di molteplici effetti, alcuni dei quali positivi. Esempio: “Da quando ho perso mio padre (marito, figlio, il lavoro, i soldi che avevo) ho capito il valore delle cose, le ho messe in prospettiva, ora so che cosa conta veramente”. Ottimo. Ma era necessario passare per quell’evento funesto al fine di arrivare a quelle conclusioni? Non bastava chiudere gli occhi e pensare? Le scale di valori non erano determinabili, chiare, anche prima? C’è bisogno di traslocare per rendersi conto che basta la metà degli indumenti, che decine di libri già letti e nemmeno amati sono un ingombro per scaffali? C’è bisogno di perdere qualcuno per ammettere che a sera un abbraccio vale più di uno scatto di carriera? Eppure è così, quasi inevitabilmente così. E allora perdere diventa necessario.

I blocchi che abbiamo dentro, e che spesso facciamo fatica a vedere, ci impediscono di vivere al meglio la nostra vita. A volte basta solo un leggero cambio di prospettiva, come guardare una foto su un supporto differente, per trovare la chiave e il coraggio per un cambiamento.

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