Il 2018 è l’anno delle scoperte e dei cambi di prospettiva. Vedere le cose da un altro punto di vista mi ha portato ad individuare dei “mostri” che in realtà mi hanno sempre accompagnato, loro ci sono sempre stati, semplicemente, io non riuscivo a vederli. Quando non sai dare il nome ad una cosa spesso e volentieri quella cosa fa paura, non tanto perché è davvero pericolosa o difficile da affrontare, ma semplicemente perché l’ignoto spaventa. Il risultato è che mi sono resa conto di aver collezionato una serie di bestie da sconfiggere e di averle parcheggiate nell’armadio semplicemente per non vederle e/o affrontarle. Tenendo conto che casa mia è abbastanza piccola, la situazione qui cominciava a farsi un po’ affollata.
Per fortuna delle persone più coraggiose di me mi hanno regalato un paio di occhiali speciali per individuare questi mostri e un dizionario per dargli un nome, ora sta a me capire come combatterli.
Sono sempre stata una persona timida e abbastanza insicura, quindi ogni volta che combinavo qualcosa di buono nella mia vita una vocina dentro di me diceva “ok, stavolta ti è andata bene, ma è stato un colpo di fortuna”; quando si trattava di dire il mio parere la stessa vocina mi diceva “ma che idea stupida, non funzionerà mai” e di solito chiudevo la bocca. Il risultato di anni di auto sabotaggio e censura mi hanno portato a credere che il mondo era brutto e cattivo e non mi capiva, che gli altri erano sempre migliori di me e che io non meritavo di esprimere quello che avevo in mente. Ma se non parli, non ti presenti, non fai capire il tuo punto di vista, come può il mondo ascoltarti e, incredibile ma vero, darti supporto e incoraggiamento?
Spoiler: le persone non ti leggono nella mente, quindi se vuoi che qualcuno ti ascolti devi parlare.
So che sembra un concetto abbastanza base da comprendere ma, come sempre, io sulla teoria vado fortissimo, è la pratica quella che mi frega!
Quindi a 34 anni suonati ho capito che quella vocina che mi parla nella testa non è il seme della follia, ma una cosa che si chiama sindrome dell’impostore, ed è più diffusa di quanto credessi. Parliamoci chiaro, la sindrome dell’impostore è solo un altro modo di chiamare la paura del successo; il giudice dentro di noi è sempre quello più severo ed è anche quello che ci fornisce un’ottima scusa per non dover agire (leggi: prendersi delle responsabilità).
Questo blog, tutti i progetti che sto costruendo grazie al master e un sacco di altre piccole cose che sto facendo in questo periodo, sono la mia presa di coscienza che se esprimi la tua idea, non è automatico essere messi sotto giudizio. Altre cosa che ho capito, oltre alla differenza tra opinione e giudizio, è che quest’ultimo non deve essere per forza negativo, anzi, la maggior parte delle volte è una sferzata di positività e adrenalina che ti dà la spinta per superare i tuoi limiti e ti fa camminare per giorni a 20 cm da terra con un sorriso ebete stampato in faccia.
I draghi giudicanti da cui pensavo di essere circondata erano, in realtà, una mia fantasia, qualcosa che mi sono costruita per difendermi (non so bene esattamente da cosa, visto che lo scopo delle persone non è puntarmi il dito contro sparandomi addosso negatività). Le bestie feroci come la sindrome dell’impostore, l’inflessibile giudice dentro di me o quella fastidiosa tendenza a dire sempre di sì, mi hanno illuminato sul fatto che sono una persona abbastanza egocentrica, visto che fino ad ora ho pensato che tutto dovesse girare intorno a me.
Qualche mese fa, durante un corso sul talento, la coach Laura mi ha fatto una domanda: “cosa vorresti dire al mondo?” e io ho risposto: “vorrei dirgli che ci sono anche io e se può farmi un po’ di posto per sistemarmi”.
Credo che sia arrivato il momento di scoprire le mie carte per prendermi di diritto quel posto che voglio e che so che è lì per me, devo solo occuparlo e dichiararlo mio. Se poi, strada facendo, mi accorgerò di aver fatto una scelta sbagliata e di essermi chiusa alle spalle una porta che invece doveva rimanere aperta, mi ricorderò di una interessante citazione di Laura sul suo blog 25esimaora: “Quando si chiude una porta, si può riaprire di nuovo, perché di solito è così che funzionano le porte”.