In questo periodo mi sto scontrando con i miei confini, sto cercando di capire quali sono i sì e i no da dire per vivere la mia vita nel modo più autentico possibile. Un paio di settimane fa ho tentato un balzo fuori dalla mia comfort zone al Jungle Rider Park di Civenna. Più che un salto doveva essere un’arrampicata sugli alberi fuori dalla comfort zone e nella mia testa tutto avrebbe dovuto funzionare al meglio, mi piaceva l’idea di guardare metaforicamente e fisicamente il mondo da un’altra prospettiva. La situazione mi spaventava un po’ ma l’avrei affrontata senza troppi problemi, credevo. Quando mi sono trovata faccia a faccia con la prima scala da salire qualcosa nella mia testa ha fatto resistenza: panico, sudori freddi, stomaco aggrovigliato, prime avvisaglie di pianto isterico… alla fine ho detto no, non salgo!
Superata la fase “senso di colpa”, quella “sei pessima, ci riescono anche i bambini e tu no”, quella “sei una fifona patentata”, quella “vabbè almeno potevi provarci” e molte altre, ho deciso che ero orgogliosa del mio no perché per una volta nella vita ho ascoltato cosa mi diceva il mio corpo e ho accettato un mio limite. Razionalmente so bene che rinunciare a qualcosa non ci rende persone peggiori o di poco valore, io ho capito che in quel momento non me la sentivo di uscire dalla mia comfort zone e ho deciso di aspettare.
Dopo questo episodio mi sono detta che in fondo stavo cominciando a capire, che forse quel “preferirei di no” di cui parla Melville raccontando di Bartleby lo scrivano cominciava ad attecchire dentro di me. Niente di più sbagliato.
Il weekend scorso avevo lezione, i weekend al master in coaching sono sempre trasformativi ma anche molto faticosi, generalmente esco da lì felice ma stanca.
Sabato pomeriggio, tornando verso casa, mi pregustavo già una bella corsa al parco per liberare la mente, una cena sfiziosa sul mio divano accompagnata da un buon film o un libro e una serata di totale relax per ricaricare le batterie. Lungo il tragitto mi chiama una mia amica per chiedermi se mi va di andare a cena da lei e suo marito; il mio cervello ormai (quasi) addomesticato al no pesca le parole da dire (quelle sbagliate, ovvio). “ehmm…forse ho già un altro mezzo impegno… sono anche un po’ stanca. Grazie magari un’altra volta” rispondo in maniera cordiale ma palesemente insicura. Ma per quale assurdo motivo mi devo giustificare? Penso davvero che se rifiuto, la mia amica si offenderà? Non mi parlerà più? Finirà il mondo? Anche no!
Il mio cervello lavora e rimugina ancora su questo episodio e, mentre mi avvio al parco per una corsa ristoratrice, il mio senso di colpa prende il sopravvento. Scrivo un messaggio dicendo “se vi va passo da voi per un caffè e due chiacchiere dopo cena”, mi sembra un buon compromesso, posso godermi la corsa e la cena in tranquillità e poi passare un po’ di tempo con loro. Come era prevedibile dopo un paio di minuti dopo il mio telefono squilla, è la mia amica che cerca di convincermi a passare da lei subito; “dai, andiamo a correre insieme domani! Ti prego, ci farebbe tanto piacere averti qui… dai, non puoi rifiutare!”. Il mio cervello pesca le parole da dire (sempre quelle sbagliate) “ok… torno a casa, mi do una sistemata e arrivo” sbuffo in risposta. Non posso definirmi una vera e propria runner, solitamente non corro per molti chilometri, ma quella di sabato è stata la corsa più breve della mia carriera, ben 427 mt. Faccio dietrofront e, arrabbiata con me stessa, con la mia amica e con il mondo in generale vado a prepararmi ad una serata che non avevo nessuna voglia di fare.
Pensavo di aver imparato la lezione, ma la strada è ancora lunga; come praticamente per ogni cosa nella vita, è tutta una questione di allenamento. Sono certa che dirò ancora molti si forzati nella mia vita e mi arrabbierò ancora con me stessa, ma ora sono più consapevole del peso che ha su di me questa minuscola parola di due lettere. Dire no non fa crollare il mondo, non ci rende persone cattive; sarei supponente se pensassi che il mio no dell’altra sera avrebbe DAVVERO ferito i miei amici. Non tutto dipende da noi e, sentirci in dovere di dire sempre si, spesso ci crea un piccolo delirio di onnipotenza, ci fa pensare che la felicità degli altri sia sempre una nostra responsabilità.